L’ arte della cartapesta
L’ arte della cartapesta leccese risale ad un periodo tra il XVII e il XVIII secolo, quando gli artigiani leccesi trovarono nell’arte di “plastificare” la carta, la possibilità di realizzare lavori sacri, che richiamavano al culto i fedeli quando la Chiesa della Controriforma era impegnata nella sua crociata contro l’eresia luterana. Questi artigiani non potendo disporre di materie pregiate, dovettero avvalersi di altre materie povere quali paglia, stracci, colla e gesso, e di pochi e modesti attrezzi, ma soprattutto di tanta pazienza, temperamento ed estro.
I primi a cimentarsi in quest’attività furono i barbieri. Questi artigiani adibirono il retrobottega del loro salone a laboratorio, e tra un taglio di capelli e l’altro, riempivano il tempo libero modellando statue di cartapesta. Il più antico cartapestaio della storia di Lecce fu appunto un barbiere: un certo Mesciu Pietru de li Cristi, così soprannominato per la sua vasta produzione di crocefissi.
Per creare una statua di cartapesta si inizia da un fascio di paglia del tipo ricciolina, modellata per mezzo di giri di spago, che dà la forma grezza ad un’anima di ferro filato. Mani, piedi e testa vengono realizzati a parte con la creta. Il cartapestaio, oltre a saper lavorare la carta, deve essere un bravo scultore e saper preparare i calchi. Successivamente si veste la figura con vari fogli di carta, incollati strato su strato con colla di farina, a cui si aggiunge un pizzico di solfato di rame per respingere i tarli. I vecchi maestri alla farina aggiungevano anche l’allume, efficace contro la muffa. L’ adesivo così preparato si chiamava ponnula. L’ essiccazione all’aria o al sole conclude la prima fase della lavorazione.
Negli ultimi anni, anche grazie all’avvicinamento a quest’arte da parte dei giovani, la produzione si è indirizzata verso nuovi e vari modelli: natività, bambole, oggetti di arredamento, maschere e giocattoli, senza tuttavia trascurare la tradizione.
La pietra leccese
La Pietra Leccese, o Pietra di Lecce (in dialetto leccisu) “chianca leccese”, è una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti che caratterizza il miocene, affiorante nella provincia di Lecce. In campo architettonico, questa pietra nel corso dei secoli è venuta sempre più assumendo la funzione di materiale adatto per le decorazioni. Infatti, passeggiando per i vicoli della meravigliosa città di Lecce, non si può non notare come tale pietra, grazia alla sua plasmabilità e facilità di lavorazione, ha permesso di scrivere, la storia del Barocco.
Per la sua facile scolpibilità, gli artisti del tempo l’hanno modellata in fregi, volute, capitelli, trine, cornici e lavorata facilmente al tornio. Questa pietra, in ogni modo, rappresenta la conferma di un eterno contatto tra l’uomo e la natura, e aveva già trovato impiego nei primi monumenti preistorici (dolmen) e megalitici (menhir) nella terra d’Otranto oltre che nell’arte statuaria e nelle costruzioni. Il bacino più esteso è quello di Lecce.
Per ciò che riguarda la lavorazione della pietra leccese, la prima fase è detta decespugliamento, e consiste nella rimozione del terreno vegetale, comprese le piante, sino allo strato di roccia. In seguito avviene lo sbancamento, e meglio l’eliminazione del primo strato di roccia madre, il cappellaccio. Segue la fase del livellamento, con macchine elettriche da taglio come la scalzatrice e la intestatrice. Al termine di tale e lunga operazione vi è la lavorazione vera e propria. Tale roccia si compone principalmente di carbonato di calcio, costituito da microfossili e frammenti di macrofossili di fauna marina, e di cemento calcitico e argilla.
Fra le opere di maggior spessore culturale e artistico, è indubbiamente da ammirare la splendida Basilica di Santa Croce (1548-1646) o il Duomo (1659-1670) di Lecce. Vi sono però numerosissimi monumenti, chiese, palazzi, opere, interamente in pietra leccese, che rendono alla città quell’inconfondibile colore, e ci regalano un barocco unico nel suo genere.
Inoltre ciò che distingue la pietra leccese da un’altra pietra della zona, il carparo, è la composizione dei composti chimici al suo interno. La prima è infatti decisamente più fine, mentre il carparo ha un aspetto più grezzo e un colore più scuro.